Comune di Barletta - La Città della Disfida

comunicato

LE CELEBRAZIONI DEL 12 SETTEMBRE
IL DISCORSO DEL VICEPRESIDENTE REGIONALE ONOFRIO INTRONA

“Combattere il nemico è un dovere, quando indossa una divisa. Ucciderlo resta un atto violento, ammesso tuttavia dai codici di guerra e perfino incentivato dalle logiche aberranti dei conflitti.
Ma mettere al muro dei combattenti rappresenta un atto feroce e diventa una barbarie, quando a cadere sono degli inermi.
Non c’è giustificazione militare per quanto è accaduto a Barletta 71 anni fa.
L’umanità è morta, in questa città, il 12 novembre 1943, mentre risuonavano le raffiche dei paracadutisti tedeschi.
Erano dirette contro 12 vigili urbani e due netturbini, traditi questi ultimi dall’indossare un berretto vagamente militare.
Uno solo cadde ferito e creduto morto venne salvato. Gli altri dodici morirono… del tutto innocenti. L’unica colpa era di essere italiani.
Non c’era diritto di rappresaglia a giustificare l’eccidio, solo odio.
A contrastare ai tedeschi l’occupazione di Barletta erano stati i soldati del presidio, agli ordini del colonnello Grasso e in esecuzione delle diposizioni armistiziali.
Non c’era ragione per mettere quegli uomini al muro, a lato del palazzo delle Poste.
Quanti agivano, sia pure truppe scelte, erano guidati dall’odio. Autentico odio razziale. Perché i Germanici non riconoscevano ai nostri la dignità di militari, tutelati dalle Convenzioni internazionali.
È il frutto di un malinteso complesso di superiorità della “razza eletta”, che si è rifletto in tutti gli atteggiamenti tedeschi a ridosso dell’8 settembre ’43.
 “Achse”, “Operazione Asse)”, era il piano segreto, predisposto per affrontare un'eventuale uscita dell'Italia dalla guerra.
Hitler lo aveva fatto approntare fin dal maggio 1943, ben prima perciò di qualsiasi progetto italiano di deporre Mussolini.
Ci consideravano degli spergiuri abituali, dei traditori per antonomasia, degni solo del patibolo o del lavoro coatto, che fu il destino di seicentomila dei nostri soldati, rastrellati dopo l’armistizio e mai riconosciuti come combattenti avversari, solo Internati militari. Prigionieri di serie B.
Ma proprio in quei giorni, gli italiani avevano cominciato a riscattarsi da vent’anni di fascismo e di guerre d’oppressione.
E per i primi lo hanno fatto i pugliesi, uomini e donne, perché finalmente le pugliesi hanno strappato il diritto di essere protagoniste e di scendere in strada, per una causa giusta.
Perché dalla Puglia è scoccata la scintilla della Resistenza, della Liberazione nazionale. Lotta di popolo e di soldati.
Non a caso, nel nostro territorio sono stati ricostituiti i nuclei delle Forze Armate, che risaliranno la penisola con gli Alleati, inquadrati nei Gruppi di Combattimento. Uniformi inglesi, cuori italiani e un gagliardetto tricolore sul braccio o il berretto da bersagliere o il basco da ardito.
La costruzione della nostra democrazia è passata dai tre episodi del 1943, che hanno meritato alla Città di Bari la Medaglia d'oro al valor civile.
Ed è passata dai fatte d’arme di Barletta, dal sacrificio dei dodici martiri che oggi ricordiamo, dal coraggio di tanti pugliesi che hanno detto “NO” a un nemico più forte, più armato, più adatto a uno scontro senza pietà.
Di fronte a quelle pagine, si può parlare a ragione di un nuovo Risorgimento in Puglia.
Quelle giornate pugliesi di settembre, sono state la cornice di popolo ideale e la premessa storica del Congresso dei Comitati di Liberazione Nazionale, evento di risonanza internazionale ospitato nel Teatro Piccinni di Bari il 28 e 29 gennaio 1944.
All’inizio del 1944, in una Puglia liberata solo da qualche mese, venivano poste le basi di una nuova unità d’Italia.
Era un messaggio di libertà che si irradiava verso il mondo.
Un anno prima dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, il Congresso dei CLN fu il primo passo verso la creazione di un ordinamento democratico e pluralista.
Era la prima voce dei partiti a levarsi verso l’Italia occupata, mentre dalle frequenze di Radio Bari si irradiava la voce dell’Italia libera, sia pure sotto il controllo degli Alleati.
Settantuno anni dopo, nessuno di noi vede i tedeschi come il nemico. Siamo uno stesso popolo, siamo Europa, siamo il miracolo di una lunga pace - la più lunga di tutti i tempi nel continente – assicurata dal sogno di Ventotene diventato realtà: creare l’Unione d'Europa, una nuova Nazione.
Quel sogno realizzato è un patrimonio da tenere stretto, a cento anni dalla Grande Guerra, che cento anni fa ha insanguinato quasi tutti i Paesi  europei fino al novembre 1918.
E se guardiamo a quanto sta accadendo tra Ucraina e Russia, i frutti di una fraterna convivenza tra i popoli dovrebbero spingerci senza ripensamenti al più convinto europeismo.
Un secolo fa l'odio era padrone d'Europa e ha provocato milioni di morti, ancora più feriti e mutilati. Settantuno anni fa, lo scenario di violenza si è ripetuto, travolgendo anche i civili, moltiplicando per sei le vittime, quasi 60 milioni, in tutto il pianeta, nel 1939-45.
Da un continente di sangue nel 1918 ad uno di macerie, poco più di venti anni dopo. Non dobbiamo solo augurarci di non ripetere il passato, dobbiamo credere e lavorare nei valori dell’unità europea. Perché i nostri figli e nipoti possano vedere solo le luci delle grandi capitali continentali, non i bagliori del fungo atomico di Hiroshima e Nagasaki.
Nei sette decenni trascorsi da allora, si è sviluppato un progetto straordinario di comunità tra gli Stati, che ha regalato pace e prosperità, senza precedenti, ad una Nazione grande come un continente.
L'auspicio è che l’Europa si rafforzi, sotto ogni aspetto. E che il nostro Paese riprenda a crescere, all’insegna del lavoro, delle industrie, del rispetto dell’ambiente, anche, ma non solo, della sostenibilità economica.
Più che alla parità di bilancio, la nostra Europa guardi con rinnovata speranza all’Unione della gente d'Europa, ad una comunità di pace, alla sovranità dei diritti delle donne e degli uomini.
Sosteniamo questo progetto senza esitazioni e giornate come quella di oggi, dedicate al ricordo delle vittime, resteranno celebrazioni sempre doverose di drammi provocati da un odio sempre più lontano.
Il popolo tedesco è accanto a noi nel ricordo dei caduti di Barletta. Il calore della loro partecipazione rappresenta una forma di rispetto e di riscatto dei dodici vostri concittadini e nostri corregionali, sacrificati in un 12 settembre che non dovrà mai ripetersi.

 

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