Comune di Barletta - La Città della Disfida
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COMUNICATO STAMPA

BARLETTA AVVIA GLI EVENTI COMMEMORATIVI
DEL CENTENARIO DELLA GRANDE GUERRA


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Domenica 24 maggio, alle ore 19.30, la bandiera  nazionale e quella cittadina saranno innalzate sui pennoni nel viale di accesso al Castello. A suggellare il momento, gli alunni della scuola media “Ettore Fieramosca” con l'esecuzione dell’inno nazionale.
Nel giorno in cui cento anni fa l’Italia entrò in guerra, e Barletta fu subito coinvolta negli eventi bellici con il cannoneggiamento da parte di una unità navale austriaca, la città vivrà il primo evento commemorativo con un simbolico legame con l’arrivo in piazza dell’Unità a Trieste della staffetta “L’esercito marciava…”, condividendo così il sentimento di riconoscenza che l'intera Nazione deve ai caduti, ai loro famigliari e a quanti, fino alla Liberazione dal Nazifascismo di 70 anni fa, si sono battuti per far risorgere i valori di pace, libertà e democrazia.
All'imbrunire, poi, un fascio di luce tricolore illuminerà le brecce lasciate sulle mura del castello di Barletta dai colpi di cannone con cui la corazzata austriaca “Helgoland” cercò di "punire" l'entrata in guerra dell'Italia.
Quel giorno di cento anni fa, a 700 metri dal porto, mentre imperversavano forti raffiche di pioggia, il fuoco austriaco colpì prima i carri ferroviari che sostavano nella stazione marittima, poi una casa in via San Cataldo, infine il Castello all'epoca guarnigione di soldati e bersaglieri.  Ad allontanare la minaccia del “colosso d'acciaio” fu l'intervento di due unità della V Squadriglia Cacciatorpedinieri di base a Taranto.
Raccontano le cronache dell'epoca che nel pomeriggio del 23 maggio 1915 il Turbine e l’Aquilone avevano lasciato la base con l’ordine di perlustrare la costa fino all’altezza di Manfredonia poiché erano segnalate unità della Kriegsmarine dell'Impero austro-ungarico che evidentemente avrebbero reagito alla dichiarazione di guerra. Alle 4.10 del 24 maggio, in effetti, l’Aquilone avvistò l’esploratore austroungarico Helgoland intento a bombardare Barletta e vi si diresse contro nonostante fosse più piccolo e meno armato: l’Helgoland interruppe il bombardamento per ingaggiare il combattimento. In quella fase, intorno alle 4.30, giunse il Turbine, comandato  dal capitano di corvetta Luigi Bianchi il quale, compresa la situazione, si diresse a notevole velocità per distogliere la nave austriaca dall’inseguimento dell’Aquilone e dal bombardamento di Barletta. Vistosi attaccato, l’Helgoland cessò il fuoco contro l’Aquilone, che poté allontanarsi, e diresse invece contro il Turbine allo scopo di bloccarlo tra sé e la riva. Il cacciatorpediniere italiano iniziò ad allontanarsi facendo leva sulla sua maggiore velocità, cercando di attirare gli austriaci verso Pelagosa, dove navi italiane stavano effettuando uno sbarco. Tra le due navi la distanza iniziò ad aumentare (oltre 7.000 metri), anche se con le prime luci dell’alba il Turbine dovette accostare ad est per non incagliarsi sul Gargano, ma alle 5.30 furono avvistati di prua, sulla sinistra, due cacciatorpediniere: si trattava di unità austriache, il Tatra e lo Csepel, più grandi, moderne e veloci e meglio armate. Al largo di Vieste, il Turbine, che dirigeva verso nord, era sostanzialmente circondato. Alle 5.48 le navi avversarie aprirono il fuoco, danneggiando il Turbine e ferendo alcuni uomini tra i quali il comandante Bianchi; anche la nave italiana aprì il fuoco e colpì l’albero maestro dello Csepel, provocando qualche ferito. Alle 5.50 le navi cessarono temporaneamente di sparare in seguito all’avvistamento a nord/nordest di un’altra unità, riprendendo il fuoco alle 6, quando il Tatra era a circa 5.000 metri dal Turbine e lo Csepel a 4.600. La nave avvistata, che si trovava a 6.500 metri dal cacciatorpediniere italiano, si era rivelata essere un terzo cacciatorpediniere austroungarico, il Lika. Questi, alle 6.30, giunto a 4.500 metri dal Turbine, aprì il fuoco: un proiettile centrò la caldaia prodiera della nave italiana, provocando un violento scoppio che investì la plancia; poco dopo, un secondo colpo colpì la caldaia poppiera e la timoniera di dritta. Con le macchine fuori uso, il Turbine procedette per un breve tratto spinto dalla forza d'inerzia, quindi s’immobilizzò. A questo punto, a circa 1.000 metri dalle navi avversarie,  il comandante Bianchi, dopo aver distrutto i documenti, ordino' l'autoaffondamento. Ridotto ad un relitto crivellato ed in fiamme, il Turbine s’inabissò poco dopo le 6.51. Fra l’equipaggio, composto da 53 uomini, si ebbero 10 morti. Trentadue superstiti, tra i quali il comandante Bianchi, furono recuperati (e fatti prigionieri) dalle unità austro-ungariche, mentre i rimanenti 9 uomini furono salvati dall’incrociatore ausiliario Città di Siracusa, che alle 6.17 era accorso sul posto insieme all’esploratore Libia.
Il Turbine ha lasciato però una traccia indelebile a Barletta, pur così lontana dal fronte. Per il giornalista Costantino Foschini, "sapere" - come ha scritto nell'introduzione alla pubblicazione dedicata ai documenti della mostra "L'Italia chiamò", che martedì prossimo sarà inaugurata dal ministro della Difesa - che contro il nostro castello furono sparate dal mare le prime cannonate, che la città ebbe quasi 800 morti e che la prima medaglia d’oro ad una settimana dall’inizio del conflitto fu assegnata ad un barlettano diciannovenne dai nobili ideali caduto sul Carso, "tutto questo ci aiuta oggi a ritrovare anche sull’Ofanto lo spirito del Piave".

Barletta 23 maggio 2015

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