Comune di Barletta - La Città della Disfida
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COMUNICATO STAMPA

CERIMONIA COMMEMORATIVA CENTENARIO GRANDE GUERRA A BARLETTA
CON IL MINISTRO ALLA DIFESA ROBERTA PINOTTI



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Martedì 26 maggio 2015 – “Partì da questa città un giovane eroe, un ragazzo di diciotto anni che aveva deciso di lasciare la scuola e andare al fronte come volontario, dove ha perso la vita offrendo un grande esempio di coraggio per noi tutti”.
E’ stato con un commosso omaggio alla figura del sergente Giuseppe Carli, prima medaglia d’oro al valor militare di quel conflitto, che il Ministro della Difesa, sen. Roberta Pinotti, ha aperto il discorso commemorativo del Centenario della Prima Guerra mondiale a Barletta. Con lo stesso spirito che ha caratterizzato, l’altro giorno, l’apertura nazionale del programma di iniziative con l’arrivo, a Trieste, della staffetta ‘L’esercito marciava…’, che ha fatto tappa anche a Barletta, il Ministro ha voluto far conoscere “la valenza storica del contributo offerto dalla città, sin dalla prime ore del conflitto, bersaglio di un cannoneggiamento del castello da parte della corazzata austriaca Helgoland”.
Oggi, “il coraggio dimostrato durante il primo conflitto mondiale dai soldati provenienti da tutte le regioni italiane insieme al sacrificio di chi ha combattuto per contribuire alla diffusione degli ideali di pace e libertà, si traduce - ha proseguito il Ministro - in un ‘dovere e debito morale’ nelle scelte che costruiscono il futuro del paese”.
La cerimonia, a cui hanno partecipato il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Italiano, Generale Danilo Errico e il Presidente della IV Commissione Difesa del Senato, sen. Nicola Latorre, il Prefetto della Provincia Barletta-Andria-Trani Clara Minerva, il  Presidente della Provincia Francesco Spina e numerose autorità civili, militari e religiose, ha avuto inizio con gli onori ai caduti resi da uno schieramento di tutti i corpi militari e della fanfara dei bersaglieri, mentre il ministro e il sindaco deponevano corone davanti alle lapidi del Rivellino del Castello che ne ricorda il sacrificio.
Dopo i saluti istituzionali, è stato il Generale Gaetano Carli, pronipote di Giuseppe Carli, a ricordare lo spirito che animava il giovane cittadino di Barletta, testimoniato anche dalla lettura, da parte dell’attore Ermanno Rizzi, della sua ultima toccante lettera alla famiglia. Il prof. Mario Spagnoletti ha quindi richiamato la significativa partecipazione della città e delle popolazioni meridionali agli eventi bellici.
Il Ministro ha successivamente inaugurato la mostra “L’Italia chiamò. Barletta e la Grande Guerra”, allestita nella casamatta Santa Maria del Castello, con le testimonianze e i documenti che legano la città di Barletta alla storia dell’unità d’Italia, a partire dalla restaurata bandiera garibaldina del “9° Reggimento di volontari” fino alla lettera autografa inviata dal sergente Carli dal fronte alla famiglia, esposta insieme all’originale del suo foglio matricolare.
A suggellare la solennità della giornata, sugli spalti del Castello è stata scoperta una targa commemorativa: «A cento anni tra le mura colpite nella Grande guerra la Città della Disfida che ha resistito anche all'orrore del secondo conflitto mondiale onora tutti i figli perduti riscattando la pietra ferita con il principio di pace sancito dalla Costituzione: ‘L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».

Intervento del sindaco Cascella
Ci ritroviamo qui, davanti a mura segnate dalla storia, non per celebrare ma per ritrovare nella memoria l'identità di questa città - la città della Disfida - indissolubilmente legata all'Italia una e indivisibile.
E siamo grati al ministro della Difesa per essere oggi a Barletta in ideale continuità con la commemorazione dell'altro giorno a Monte San Michele in quel di Gorizia, ricomponendo il tormentato percorso compiuto dal primo conflitto mondiale fino alle missioni che oggi sostanziano il principio del ripudio della guerra con l’impegno per la pace.

Si sa quale sanguinoso contributo sia stato versato dai ragazzi del nostro Sud sulle terre lontane del Carso, che cento anni fa apparivano al giovane Giuseppe Carli persino più povere della campagna in cui abitava la sua famiglia. Ma quanti sanno che quel soldato voglioso di riscattare le proprie "origini cafonesche", credendo come Giuseppe Di Vittorio nella "guerra di liberazione europea, di civiltà e umanità", fu la prima medaglia d'oro al valor militare di quel conflitto?
Quanti sanno che sul Carso combatté una Brigata con il nome di questa città, ripreso dal reggimento di volontari guidato da Raffaele Lacerenza entrato al seguito di Garibaldi il 22 luglio del 1866 a Bezzecca, libera e italiana, con la bandiera che Menotti Garibaldi volle consegnare  a Barletta per onorarne lo spirito  patriottico in cui oggi possiamo ritrovarci?
Quanti sanno che all'alba del 24 maggio di cento anni fa fu proprio il Sud che l'impero austroungarico volle "punire" per il suo irredentismo? Il fronte era anche questo castello, bombardato dall’esploratore asburgico Helgoland:  un vero e proprio atto di guerra, che ha lasciato le brecce profonde illuminate nel giorno del centenario con i colori - i tre colori -  della bandiera che svettava sul cacciatorpediniere Turbine quando fermò l’attacco proditorio prima che rovinasse la Cattedrale e il quartiere marinaro.
Quanti sanno delle tante ferite che altri conflitti hanno ancora inferto nel corpo della città? Persino il monumento ai caduti fu dal fascismo mutilato del bronzo dedicato al ricordo del sacrificio e del dolore anziché all'esaltazione bellica del regime.
Quanti sanno che dopo il Piave mormorò l'Ofanto e che proprio davanti alla stele spogliata del richiamo alla pietà, a Barletta, il 12 settembre del '43, si consumò una barbara rappresaglia nazista?
Sono tutti episodi, segni, vicende fin qui considerate microstorie rispetto alla tragica dimensione di due conflitti mondiali. Ma abbiamo il dovere, prima ancora dell'orgoglio, di ricomprenderli nella storia dei sentimenti umani e delle passioni civili che hanno riscattato gli orrori della guerra con i valori costituzionali della comune appartenenza all’Italia e all’Europa.

Abbiamo bisogno di conoscere e riconoscerci in un nuovo sforzo condiviso per far tornare il paese a crescere nel suo insieme.
Abbiamo bisogno di conoscere e riconoscere il principio della solidarietà tra i popoli, ora che la guerra torna a incombere come strumento di offesa in un mondo sempre più globalizzato, per continuare a costruire la pace e il progresso.
Questa è la storia che vogliamo consegnare tutta intera alle nuove generazioni, perché sappiano riscattare quel passato nel futuro.

Intervento del Ministro Pinotti
Sono qui per ricordare il bombardamento avvenuto contro questo meraviglioso castello che, come ricordava il sindaco, fu il primo atto della grande guerra, ma soprattutto per rendere omaggio a un giovane eroe,  un ragazzo che a diciotto anni scelse di lasciare la scuola e andare in guerra come volontario, un ragazzo, dell’età dei giovani che ho incontrato al mio arrivo.
E’ molto bello che la città abbia scelto di dedicare una giornata per ricordare tutte queste vicende nell’ambito delle celebrazioni nazionali, decidendo però di scegliere una persona specifica, un giovane partito da questa città.
Il 24 maggio ho partecipato a Sammichele, nei pressi di Gorizia, alla celebrazione del centenario dell’inizio della prima guerra mondiale, e lì ho ricordato come durante la grande guerra tutti gli italiani siano stati protagonisti di grandi atti di coraggio,  di un eroismo collettivo durato quasi quattro anni. L’esercito ha deciso di ricordare la Grande guerra con molte manifestazioni, in particolare una,  “L’esercito marciava”,  che ha visto circa seicento militari percorrere con in mano il tricolore praticamente tutta l‘Italia per far ricordare che per la guerra combattuta in quelle montagne lontane sono partiti ragazzi da tutte le parti d’Italia.
La storia che qui ricordiamo è molto bella. E’ la storia di un ragazzo partito da Barletta perché sentiva forte il richiamo della patria. Migliaia di ragazzi italiani sono partiti per il fronte dal Piemonte alla Sicilia, dalla Lombardia alla Sardegna, dal Friuli alla Puglia, e Carli fu uno di questi. Come abbiamo ascoltato dalla sua lettera, molto bella che è stata appena letta, era molto giovane, aveva lasciato la scuola per diventare bersagliere come l’attuale Capo di stato maggiore dell’esercito. Il racconto della sua morte è particolarmente eroico, come è stato ricordato con parole commosse da un pronipote che nella memoria del suo congiunto ha poi costruito la propria identità e le proprie scelte e che lo hanno portato a far parte dell’esercito fino a diventare generale.
Ascoltando la lettera di Carli,  sono stata colpita dalla vita normale di questo ragazzo che nella missiva chiedeva cinque lire per fare la foto e poter mandare alla famiglia un’immagine di sé in divisa, chiedendo di fare in fretta perché stava per essere trasferito. Invece, morì pochi giorni dopo aver scritto quella lettera.
Quello che quest’episodio ci dice oggi  riguarda noi contemporanei: tutti i sacrifici dei nostri nonni  e dei nostri padri durante i due conflitti mondiali si traducono per noi nel dovere di dimostrare nei fatti almeno altrettanto coraggio e attaccamento verso il nostro paese, spirito di sacrificio, senso della solidarietà e dignità umana, desiderio di costruire il futuro.
 Questo messaggio riguarda in primo luogo le forze armate. Rispetto a un secolo fa e all’esercito di Giuseppe Carli le cose sono cambiate, non solo dal punto di vista della tecnologia e dell’innovazione, ma ci sono stati cambiamenti radicali come l’abolizione della leva obbligatoria e il passaggio a modelli professionali, l’ingresso delle donne nelle Forze armate, le missioni internazionali a supporto della pace.
Stiamo lavorando alla difesa di oggi e del futuro e abbiamo per questo deciso di redigere un nuovo Libro Bianco per un’Italia che vuole essere un paese democratico, prospero e libero, con le Forze armate debbano essere all’altezza di queste sfide.

Intervento del Presidente della Commissione Difesa del Senato Nicola Latorre
Vorrei subito ringraziare tutti gli organizzatori di questi evento e con essi il sindaco per avermi offerto l’opportunità di tornare anche quest’anno qui, in una occasione che considero di particolare rilievo, alla presenza peraltro del nostro Ministro alla Difesa che saluto affettuosamente e che accogliamo con grande piacere alla nostra Regione. Quello di Barletta alla Grande Guerra è stato un contributo di particolare valenza storica. Segnato da eroismo e sofferenza e riassunto nella figura del sergente Giuseppe Carli che perse la vita al fronte e la cui ultima toccante lettera ha un posto d’onore nella mostra “L’Italia chiamò. Barletta durante la Grande Guerra”. Quella guerra, ha avuto una importanza fondamentale non solo nel disegnare i nostri confini, ma anche nella crescita della nostra coesione sociale e culturale.  Fu una esperienza nazionale di terribile sacrificio sul piano umano e allo stesso tempo di decisiva maturazione sociale. Fu una inutile strage? E come mai ci fu anche chi la considerava la quarta guerra di indipendenza? Il dibattito è aperto e va affrontato evitando ogni semplificazione e una inutile retorica di circostanza. Essa scaturì dalla volontà di predominio delle principali potenze di allora animante da una forte cultura nazionalistica. E da una concezione di quell’epoca della guerra come principale strumento regolatore  dei contrasti. E certamente per la prima volta emerge l’interdipendenza reale del mondo. Fu proprio per queste ragioni che all’indomani del conflitto, nel 1919, si iniziarono a costruire le strutture internazionali proprio allo scopo di prevenire le guerre. E abbiamo imparato dall’esperienza di questi anni che quando queste strutture perdono il ruolo, ancor più in un mondo oggi sempre più multipolare, in alcuni casi riemergono conflitti.
Il recupero della memoria storica può aiutare l’analisi e le iniziative tese a costruire un nuovo equilibrio mondiale di pace e sviluppo. E ci aiutano anche a rafforzare i sentimenti di solidarietà e di unità nazionale. Dal Risorgimento, alla Prima Guerra mondiale, alla lotta di liberazione, in questi decisivi passaggi storici, tutti gli italiani, dal profondo Nord all’estremo Sud, hanno dato quel contributo di partecipazione e con sacrificio umano hanno fatto grande il nostro Paese e la sua storia. Ecco, quello di Barletta si iscrive pienamente in questa storia. Vale la pena ricordare sempre, anche in questa circostanza, che qui a Barletta ci fu il primo eccidio per rappresaglia dei tedeschi in Italia e il primo episodio della resistenza italiana contro il nazismo. Le nostre riflessioni di oggi dunque sono ben lontane dal solo esercizio di memoria. Ma occasione solenne per rinnovare l’impegno a che i valori di pace, libertà e democrazia siano quelli sui quali vogliamo fondare il futuro dell’Italia.

Intervento del prof. Mario Spagnoletti
Nel suo celebre Discorso, intitolato La nostra guerra è santa e pronunciato in Campidoglio il 2 giugno 1915, pochi giorni dopo l’entrata dell’Italia nel primo conflitto mondiale,  il  Presidente del Consiglio Antonio Salandra menzionava la Città di Barletta con queste parole: Subito dopo la dichiarazione di guerra si ebbero sulle nostre coste dell'Adriatico, da Porto Corsini a Barletta, incursioni austriache, che non fu possibile prevenire né reprimere efficacemente a cagione della privilegiata situazione militare della costa dalmata, ricchissima di meandri e di rifugi rispetto alla nostra costa aperta e indifesa.” La vicinanza agli avvenimenti non aveva consentito allo Statista pugliese di accennare, in quella solenne occasione, né al sacrificio del  cacciatorpediniere “Turbine” e del suo equipaggio, coraggiosamente intervenuto a difesa di Barletta, prima città italiana sottoposta a cannoneggiamento da parte del ben più potente e armato incrociatore austriaco “Helgoland” all’alba del 24 maggio e neppure il sacrificio del giovanissimo sergente dei Bersaglieri barlettano Giuseppe Carli, eroicamente caduto nella battaglia di Monte Mrzlivrk, sul Carso, il 1° giugno del 1915, prima medaglia d’oro della Grande Guerra.
Barletta, dunque, ha avuto la singolare ventura di vantare una sorta di primato cronologico nelle drammatiche e sanguinose vicende del Primo Conflitto Mondiale: prima città italiana esposta al fuoco nemico dal mare,  prima città italiana nelle cui acque fu ingaggiato uno scontro tra navi da guerra, prima città italiana ad aver avuto un caduto insignito di medaglia d’oro al valor militare.
Non è possibile, nella brevità di questo intervento, soffermarsi sullo svolgimento cronachistico delle vicende, sulla composta reazione della comunità cittadina a quel brusco e inaspettato  risveglio sotto il fuoco nemico alle 4 del mattino del 24 maggio, sulla quasi temeraria azione del Capitano di Corvetta Luigi Bianchi che, al comando del “Turbine”, non ebbe esitazioni nel frapporsi a difesa tra la potente unità navale nemica e la Città ed accettare un impari combattimento che si concluse con l’autoaffondamento del cacciatorpediniere italiano dopo che era stato più volte colpito, sull’eroico comportamento del Sergente Carli sul Carso dove, alla testa del suo plotone, sotto il tiro furioso di un nido di mitragliatrici austriache, continuò a incitare i suoi uomini e ad avanzare nonostante fosse stato più volte attinto dalle pallottole nemiche.
Forse è possibile, invece, rintracciare un filo rosso che collega e spiega il comportamento valoroso sino allo sprezzo del pericolo e al sacrificio della propria vita da parte di soldati, combattenti e popolo della Puglia all’alba della grande tragedia della guerra e che deve essere ricordato e messo in valore.
La Puglia aveva salutato con un certo favore e con notevoli aspettative l’avvento al potere di Antonio Salandra, non tanto per la sua appartenenza regionale, cioè per la sua “pugliesità” che resta elemento di secondo piano, quanto per il fatto che esso appariva un’alternativa a Giolitti, verso cui a torto o a ragione in molti strati della popolazione borghesi e popolari si nutriva quasi una vera e propria insofferenza, nutrita anche dalle violente invettive salveminiane indirizzate contro di lui.
In questo quadro si andò producendo, nell’opinione pubblica pugliese, una significativa modificazione che accentuava il nesso tra irredentismo e interventismo democratico e che, nella illusione di poter risolvere gli squilibri sociali con l’espansione nei Balcani e nell’Adriatico, propugnava la costruzione di un vero e proprio “partito della Patria”.
Non per caso, già nel marzo 1915, l’illustre economista e parlamentare salentino Antonio De Viti De Marco aveva scritto: “Questa può dirsi per alcuni aspetti la guerra delle Puglie […] È specialmente per le Puglie interesse evidente che il blocco austro-tedesco sia sconfitto, che le nazionalità balcaniche facciano tramontare per sempre la politica dell’inorientamento dell’Austria, che tra noi e gli stati balcanici si stringano vincoli di amicizia che aprano la via della penetrazione economica dell’Italia nel vicino Oriente”.
In tale clima, la Puglia e l’opinione pubblica regionale si orientano psicologicamente verso la necessità dell’intervento, rovesciando la tradizionale politica estera italiana e giungendo nelle  punte più estreme -si ricordi  la lettera del giovane Giuseppe Di Vittorio al periodico Internazionale del 18 giugno 1915- a parlare di “guerra di liberazione europea, di civiltà, di umanità”.
E se può apparire forse esagerato il giudizio di Saverio La Sorsa, secondo cui la Puglia “era quasi tutta per l’intervento”, non vi è dubbio che il “cemento armato” dell’antigiolittismo avesse creato nella regione una progressiva dimensione di incontenibile patriottismo, di cui saranno testimonianza i “Comitati di preparazione civile” prima e i “Comitati di assistenza civile” poi, sorti in ogni centro regionale grande e piccolo.
Questo riallineamento pugliese verso la guerra trova puntuale eco nelle pagine del “Corriere delle Puglie” –antenato della attuale “Gazzetta del Mezzogiorno”- un organo di stampa assai rilevante per la formazione dell’opinione pubblica regionale, che già ai primi di dicembre 1914 aveva rivendicato, con la infuocata penna di Leonardo Azzarita, l’italianità della Dalmazia, precisando che “Là dove comincia l’artificio creato dall’Austria finisce il diritto della Slavia, incomincia quello dell’Italia”.
Non può meravigliare allora che il diciannovenne sergente Giuseppe Carli di Barletta, nella sua ultima lettera al padre scritta due settimane prima di immolarsi nelle prime battaglie sul Carso, mostrasse una ferma determinazione, dettata dalla sua adesione al clima antigiolittiano e patriottico e dalla sua interpretazione, allineata alla coeva opinione pubblica, delle ragioni della guerra: l’Italia “la deve fare per poter affermare i suoi diritti ed anche perché è obbligata dall’Inghilterra che sin ora ci ha fornito tutti i mezzi. Poi lo scopo di questa guerra non sarebbe limitato alla semplice richiesta di quel territorio, ma essa ha l’obbiettivo pure di disfare, di annientare, di distruggere la Germania e l’Austria.[...] Il resto, tutte quelle cose che si dicono, son tutte chiacchiere, sono semplicemente voci che corrono col vento; ma quello è il fine di questa guerra, e l’Italia è anche essa obbligata alla partecipazione”.
Al di là di ogni querelle storiografica successiva sulle motivazioni profonde di ordine politico, economico  diplomatico del Patto di Londra e dell’intervento italiano a fianco delle Potenze dell’Intesa, non vi è dubbio che popolazioni e combattenti pugliesi fossero partecipi di questo fervore patriottico e che ad esso si dovessero i fermi propositi di non sottrarsi ai propri doveri e la abnegazione di sé spinta, come nel caso del capitano Bianchi e del giovanissimo Carli sino ai limiti del sacrificio e dell’eroismo, in una temperie storica che imponeva l’annullamento di ogni spirito di fazione e l’affermazione di un vero ed univoco “partito della Patria”.
I giorni dei dubbi, delle privazioni, dell’inevitabile lungo corteo di morti, di feriti, di dispersi –cui anche la Città di Barletta darà il proprio sanguinoso contributo di oltre 750 tra caduti, morti successivamente a causa di ferite e dispersi- sono ancora lontani in queste prime giornate di travolgente patriottismo, che il quotidiano “Corriere delle Puglie” celebrerà con infuocata prosa nelò numero del 24 maggio 1915: “ gli Italiani si dimostrino degni della guerra, si dimostrino all’altezza dell’ora terribilmente tragica che incombe sulla vita dell’Italia nostra e di tutta l’Europa. La guerra è per i forti, non è per i codardi: la guerra è per gli animosi, non è per i vigliacchi: la guerra è per i preparati non è per gli inetti”. Ed i cittadini di Barletta seppero, certamente mostrarsi all’altezza di quell’ora terribilmente tragica.

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