Comune di Barletta - La Città della Disfida
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COMUNICATO STAMPA

DICHIARAZIONE DEL SINDACO NEL 170ESIMO
DELLA NASCITA DI CARLO CAFIERO

“Il nostro ideale rivoluzionario è l’antico ideale di tutti coloro che non vollero rassegnarsi all’oppressione e allo sfruttamento, e si compone per noi, come per i nostri predecessori, dei due non meno antichi termini Libertà ed Eguaglianza. Antico quanto la servitù umana cioè quanto l’umanità…”. Scriveva di “ideali” Carlo Cafiero, ancora nell’ultimo manoscritto ritrovato dopo la scomparsa e pubblicato con il titolo “Rivoluzione: anarchia e Comunismo”. A rileggere quelle pagine oggi, dopo il crollo dei sistemi politici che avevano tramutato gli ideali in ideologie, non si può non riflettere su quanto profondo sia il vuoto di valori provocato dal conflitto tra l’umanità dei “bisogni della vita”, che storicamente alimentarono la Comune di Parigi e i moti sociali dell’Ottocento fino alla Rivoluzione d’Ottobre, e le forme statuali “reali” dei regimi autoritari che quelle spinte hanno poi finito per mortificare.

Ripensare al “rivoluzionarismo benefico” di Carlo Cafiero nel 170° della nascita significa cercarne il segno nelle tumultuose e alterne vicende che la nostra società ha affrontato, nel passaggio attraverso il Secolo breve. Induce a chiederci se abbiano ancora ragione di essere, oggi, gli “ideali” che quel giovane cresciuto nell’ambiente carbonaro di una famiglia del Sud d’Italia aveva alimentato concependo non una “rivoluzione di pretesto” ma una rivoluzione “presa nel suo più largo e vero senso”, che “significa giro, trasformazione, cambiamento”. Oggi che la contrapposizione tra capitale e lavoro cede il passo di fronte a quella “grandezza del valore” che già Carlo Cafiero sosteneva dipendere “dalla grandezza del lavoro”, resta non solo un mero bisogno ma soprattutto l’aspirazione alla realizzazione della persona umana attraverso, appunto, la grandezza del lavoro.

Idealismo? L’idealismo portò Cafiero a sacrificare il proprio patrimonio e gli costò la galera. Ma anche lì seppe dedicarsi alla causa con la forza del pensiero, scrivendo quel compendio del libro del Capitale di Carlo Marx che sorprese lo stesso filosofo tedesco per la “grande superiorità” dell’opera rispetto ad altre che allora in tutta Europa chiamavano le plebi a spezzare le proprie catene.

Carlo Cafiero visse i contrasti di quell’epoca fino in fondo, esaltato e incompreso, tanto da ritrovarsi avulso dal mondo persino sul piano fisico, con quella malattia che lo strappò dalla comunità civile per consegnarlo a un manicomio con il cruccio che il “senso” della sua opera andasse perduto.

Ecco, in tempi di ideologie che scompaiono, forse è il caso di riscoprire l’idealità di una figura così come Michele Cassandro, già nel Centenario della nascita, la richiamava dal ricordo dei compagni del tempo di Carlo Cafiero: “Forte e nobile tempra di utopista, natura più che idealista, ascetica, fibra squisitamente puritana e morale, sentimentalità fine ed austera, Carlo Cafiero resta una bella, severa e simpatica figura di sognatore e di martire”.

Sono trascorsi altri 70 anni, ma figure così non appartengono a un tempo. Semmai, interrogano il nostro tempo.