STORIA |
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Gli slavi - Francis Conte
3 D 1964
Chi sono gli Slavi e da dove provengono? Costituiscono un'unica entità etnica, linguistica e culturale, una sorta di blocco solidale rispetto ai popoli latini e germanici o tra essi vi sono profonde differenze religiose, politiche e istituzionali? Per dare risposta a questi interrogativi che la storia recente ha riproposto in tutta la loro urgenza e drammaticità, Francis Conte risale alle origini di quei popoli che si addensarono nelle pianure dell'Europa orientale e ne studia nelle diverse epoche le grandi correnti degli scambi e dei traffici commerciali, i metodi di lavoro e gli stili di vita, le strutture sociali, le grandi tendenze spirituali. |
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Lampi sulla storia - Paolo Mieli
MAG C 8300
È nell’intreccio serrato dei rami che compongono l’albero della storia che possono esplodere le scintille tra passato e presente. Scintille che nascono dall’uso troppo rigido di categorie attuali applicate a fatti, eventi e personaggi di ieri; fiamme che rischiano di divampare quando il nostro sguardo non è scevro da pregiudizi e libero da tesi già confezionate; incendi che si propagano tra le sterpaglie del campo storico se l’analisi non supera il limite delle eccessive semplificazioni.La comprensione del presente passa da qui, dalla capacità di andare a ricercare cosa si nasconde dietro le apparenze, dalla volontà di andare oltre, e correggere, le forzature e le deformazioni del racconto storico, dall’essere in grado di riconoscere i capovolgimenti con cui il passato ci viene spesso presentato. Soffermandosi su figure centrali come Robespierre, Gramsci, De Gaulle, passando dai drammatici giorni del luglio ’43 che videro la caduta del Duce alla nascita dello Stato di Israele, dal processo a Socrate fino ai rapporti tra il papato e Lutero, Paolo Mieli ci propone in queste pagine un viaggio avvincente e rigoroso nella storia antica e recente, italiana e internazionale. Per sfatare falsi miti e incongruenze di giudizio alla luce di documenti inediti e proporre visioni spesso alternative a quelle ufficiali. Con la forte consapevolezza che le fiamme che ogni giorno divampano tra le fitte stoppie della storia devono essere domate, che i focolai accesi, spesso colpevolmente, non si estingueranno se non mettendo in campo tutto il rispetto per il passato e per la sua complessità. |
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Una storia della lettura - Alberto Manguel
MAG C 8346
Quella che racconta Alberto Manguel non è la storia della lettura, ma è, appunto, una storia della lettura: soggettiva e unica, e proprio per questo di tutti. Infatti, alla dissertazione letteraria, Manguel aggiunge annotazioni personali, passi autobiografici, aneddoti che dissacrano la letteratura in quanto scienza e che invece sanciscono la superiorità della lettura e, soprattutto, dei lettori. Così, dopo aver chiamato in causa autori come Plinio, Dante, Cervantes. Victor Hugo, Rabelais e Borges, Manguel parla della forma del libro, dei libri proibiti, del valore delle prime pagine, di cosa vuol dire leggere in pubblico e, al contrario, dentro la propria testa, e ancora, del potere del lettore, della sua capacità di trasformare e dare vita al libro, quanto e forse più dell'autore stesso, della follia dei librai e del fuoco sacro che divora ogni vero appassionato di storie. |
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Caporetto - Alessandro Barbero
MAG B 3454
Da cent’anni la disfatta di Caporetto suscita le stesse domande: fu colpa di Cadorna, di Capello, di Badoglio? I soldati italiani si batterono bene o fuggirono vigliaccamente? Ma il vero problema è un altro: perché dopo due anni e mezzo di guerra l’esercito italiano si rivelò all'improvviso così fragile? L’Italia era ancora in parte un paese arretrato e contadino e i limiti dell’esercito erano quelli della nazione. La distanza sociale tra i soldati e gli ufficiali era enorme: si preferiva affidare il comando dei reparti a ragazzi borghesi di diciannove anni, piuttosto che promuovere i sergenti – contadini o operai – che avevano imparato il mestiere sul campo. Era un esercito in cui nessuno voleva prendersi delle responsabilità, e in cui si aveva paura dell’iniziativa individuale, tanto che la notte del 24 ottobre 1917, con i telefoni interrotti dal bombardamento nemico, molti comandanti di artiglieria non osarono aprire il fuoco senza ordini. Un paese retto da una classe dirigente di parolai aveva prodotto generali capaci di emanare circolari in cui esortavano i soldati a battersi fino alla morte, credendo di aver risolto così tutti problemi. |
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Memorie di guerra e di prigionia. 1915-1918 - Luigi Parlati
AP C 520
La pubblicazione restituisce le memorie di guerra del Ten. Luigi Parlati, nato a Latiano nel 1895, partito per il servizio di leva nel febbraio 1915. Fatto prigioniero durante la battaglia di Caporetto (ottobre 1917), fu rinchiuso nel lager di Celle in Germania fino al 1918; dopo la guerra, divenuto antifascista, fu condannato al confino a Ventotene. Nel secondo dopoguerra divenne membro del CLN , come rappresentante del Partito d’Azione e poi sindaco di Latiano dal 1946 al 1951. |
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L’abito femminile - Georges Vigarello
COLL C 12/982
«Alcuni piccoli cambiamenti hanno inizio proprio nel cuore dell’Impero. Madame Carette, “lettrice” personale dell’imperatrice Eugenia, nel 1864 descrive diffusamente ciò che considera una novità: il “piccolo vestito” indossato dall’imperatrice stessa, con la gonna che aveva voluto piú corta e con meno volant, in occasione di un viaggio sulle Alpi, un tessuto modesto, drappeggi semplici e regolari che raddoppiano gli spessori del fondo. Le turiste inglesi della metà del secolo indossavano già gonne rialzate. La cronista dell’Impero ne individua una sensibile diffusione, che associa al piacere delle passeggiate o, ancora di piú, a una nuova frequentazione della città, dei suoi bazar, del suo traffico, dei suoi trasporti: “Ci si abitua in fretta a questo abbigliamento pratico con il quale, svelte e leggere, si scivola in mezzo alla folla, nei negozi e tra le vetture, senza temere i mille incidenti che provocavano i vestiti fuori misura”. Una “riforma” di questo tipo sarebbe già un segno: quello di una maggiore presenza della donna nello spazio pubblico, di una maggiore frequentazione dei viali, dei grandi magazzini, degli spettacoli, dei caffè, il desiderio di una mobilità e di una praticità rinnovate». |
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Quando inizia la nostra storia - Federico Rampini
MAG C 8345
La storia è maestra di vita: è urgente riscoprirla come guida. Che cosa lega l'invenzione della stampa moderna (Gutenberg) nel 1450, la Riforma protestante di Lutero e quel primo esperimento di globalizzazione che furono le grandi esplorazioni navali? È possibile paragonare Facebook o Instagram alle altre rivoluzioni della comunicazione? Che distanza c'è tra quella Età del Caos che chiamiamo Rinascimento, i suoi Savonarola, e i populismi di oggi? E perché la riscoperta dello Stato-nazione ci sembra un regresso, mentre con la Pace di Vestfalia fu un approdo di stabilità? Dopo il successo di Le linee rosse , in cui ha guidato i lettori alla decifrazione del mondo attuale usando le mappe, Rampini applica lo stesso metodo alla storia, giocando con alcune date-chiave per fare luce sui sorprendenti legami tra eventi epocali del passato e il nostro presente. La nascita nel 1600 della Compagnia delle Indie, azienda privata a cui l'Inghilterra assegna il grosso del suo impero, in queste pagine diventa l'inizio di una storia del capitalismo che si dipana fino al crac di Lehman e alla grande crisi del 2008 da cui non siamo ancora usciti. La guerra dell'oppio (1840) spiega lo spirito di rivincita che anima oggi la Cina. Il 1869 vede la nascita del Canale di Suez, che ispira Il giro del mondo in ottanta giorni di Jules Verne: non solo un romanzo d'avventura, ma l'avvento del globalismo come ideologia. In tema d'immigrazione, si parte dal 1870: la Grande Fame degli irlandesi e quello che, secondo Marx, dovrebbe insegnarci. Il 1948 segna la fine dell'impero britannico e della sua pretesa di fagocitare quello ottomano: una vicenda di cui settant'anni dopo la questione israelo-palestinese porta ancora le cicatrici. Esplorando gli anni 1963-67, riaffiora la terribile e seducente eredità del lungo Sessantotto americano, l'inizio di quella «guerra civile sui valori» tuttora in corso. L'incontro di Nixon con Mao Zedong nel 1972 innesca una reazione a catena che sfocia nel protezionismo di Donald Trump. E l'anno 1979 concentra tre eventi formidabili: la rivoluzione degli ayatollah in Iran, la svolta reazionaria dell'Arabia Saudita, l'invasione sovietica in Afghanistan, un triangolo dove viene piantato il seme degli islamismi moderni. Anche questo libro di Rampini non nasce «a tavolino». Le letture del passato si fondono con i racconti dei suoi viaggi di nomade globale – dalla profonda provincia americana che ha votato Trump al cuore islamico di Harlem, dall'Iran a Israele e alla Palestina – e con la sua vita in Cina o nella Silicon Valley californiana. L'avventura a ritroso nel tempo finisce per diventare una sorta di specchio magico. Così acquistano nuovi contorni e significati, e la giusta profondità, le cose da lui viste da testimone in prima fila: luoghi e personaggi, vertici internazionali e scontri tra leader che tentano di imprimere alla storia il loro segno. |
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L’Architettura rurale minore del paesaggio agricolo pugliese - a cura di Francesco Bozzo, Vincesco Fucilli, Giacomo Scarascia Mugnozza
AP B 803
Il principale motore del mutamento del paesaggio agrario è l’incessante attività umana compiuta nel corso degli anni e dei secoli: buona parte del paesaggio italiano deve, infatti, all’uomo la sua conformazione, più o meno attuale. Ciò comporta una riflessione non solo sul presente, ma anche sulle scelte future, per quel che concerne la conservazione e la valorizzazione di luoghi ricchi di saperi antichi, che non vanno perduti e che hanno molto da insegnare proprio nei loro rapporti con i territori ed i paesaggi. Tuttavia, oggi sono proprio i paesaggi rurali, in molte campagne e borghi del nostro paese, a segnalare pratiche produttive e insediative che faticano a costruire nuovi equilibri. Infatti, qualunque sia l’intervento, recupero, messa in sicurezza, adeguamento, ampliamento o nuova costruzione e qualunque sia l’area interessata, l’esperienza indica che vi sono ancora molti aspetti da considerare e da approfondire. |
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Storie dalla città - S. Chiaffarata, V. Rivera Magos, F. Violante
AP C 519
Il volume raccoglie i risultati delle ricerche effettuate dai borsisti dell’Associazione del Centro Studi Normanno-Svevi nell’ambito del progetto “Storia della città di Barletta” durante il triennio 2016-2018. Tra archeologia e storia, paleografia, diplomatica e storia dell’arte, il lavoro di sette giovani ricercatori contribuisce a recuperare, riscoprire e valorizzare una parte dimenticata della storia della città ofantina e del suo patrimonio culturale. |
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Il catalogo dei libri naufragati - Edward Wilson-Lee
MAG B 3451
Ci sono storie che a sentirle raccontare, o a leggerle, non sembrano vere; il potere della loro fascinazione ci attrae, però, fino ad ammaliarci e a lasciarci senza fiato. La storia di Fernando Colombo, figlio naturale di Cristoforo Colombo, è una di queste: capace di irradiare meraviglia e stupore, e – al contempo – di ridisegnare la nostra conoscenza del mondo. Fernando Colombo, cadetto illegittimo dello scopritore delle Indie occidentali, Ammiraglio e conquistatore dei regni oltre il grande Mare Oceano per conto della Corona di Spagna. Hernando Colón, figlio bastardo, eppure profondamente amato, primo biografo di Cristoforo, viaggiatore avventuroso egli stesso, che con le Historie della vita e dei fatti di Cristoforo Colombo ci ha lasciato il resoconto delle alterne fortune dei quattro viaggi del padre nelle Americhe. Fernando, lettore onnivoro e vorace, preso da bruciante passione per una nuova e dirompente invenzione, la stampa a caratteri mobili, che in pochi anni rivoluzionò il mondo, al pari delle scoperte geografiche paterne. Fernando, smanioso classificatore di ogni libro che sia mai stato stampato, raccoglitore di ogni foglio mai prodotto da un torchio, corrispondente di Albrecht Dürer, Erasmo da Rotterdam, Aldo Manuzio; viaggiatore umanista ossessionato dal principio di catalogazione, perennemente in corsa – di città in città (Siviglia, Granada, Toledo, Londra, Milano, Venezia, Strasburgo, Colonia, Magonza e così via) –, alla ricerca spasmodica e costante delle migliori e ultime novità: i libri più belli – magnifica perversione – curati al meglio, stampati coi caratteri più chiari e puliti, sulla carta più durevole, e nella confezione più raffinata. Fernando, compilatore di liste vertiginose, inventore della prima biblioteca universale, catalogo dei cataloghi, che contenesse tutto il sapere umano, concepita come una macchina viva, un organismo vivente, che respira, si ammala, perde i pezzi, guarisce e sopravvive. Fernando Colombo e la sua biblioteca, monumento del Rinascimento europeo; Fernando e i suoi libri che sono andati perduti, trafugati, bruciati, che sono persino naufragati, eppure hanno resistito e sono sopravvissuti fino a noi, fino ad oggi. |
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L’Impero che non voleva morire - John Haldon
MAG C 8360
Unendo gli esiti piú recenti della ricerca storica ai dati economici e climatici, questo libro ricostruisce in modo magistrale un'epoca di tumultuose trasformazioni. Se nel VI secolo l'Impero romano d'Oriente era il piú vasto stato nell'Eurasia, appena un secolo dopo esso si era ridotto drasticamente. Circondato da nemici, devastato da conflitti e malattie, sembrava destinato al collasso, ma non fu cosí, e questo saggio ci spiega tutti i motivi per cui ciò non avvenne. Nel 700 d.C. l'Impero aveva perso tre quarti del suo territorio a vantaggio del Califfato islamico. Ma l'accidentata geografia dei territori rimanenti in Anatolia e nell'Egeo fu strategicamente vantaggiosa, poiché impedí ai nemici di occupare permanentemente le città, rendendoli vulnerabili ai contrattacchi romani. Piú l'Impero si riduceva, piú si calamitava intorno a Costantinopoli, la cui capacità di resistere ai diversi assedi si rivelò decisiva. Anche i cambiamenti climatici ebbero un ruolo, poiché imposero di diversificare la produzione agricola, aiutando cosí l'economia imperiale. La crisi costrinse la corte ad avvicinarsi alle classi dirigenti delle province e alla Chiesa. Nonostante le perdite territoriali, l'Impero non patí gravi crisi politiche. Ciò che restava divenne il cuore di uno stato romano cristiano medievale, la cui potente teologia politica predisse che l'imperatore avrebbe infine prevalso contro i nemici, sancendo il dominio mondiale del cristianesimo ortodosso. |
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A via della Mercede c’era un razzista - Giampiero Mughini
MAG C 8552
Nell'epoca desiderosa di oblio che fu il secondo dopoguerra italiano, la storia di Telesio Interlandi, l'intellettuale che più spudoratamente approvò le leggi razziali in Italia, fu dimenticata con un certo sollievo. Eppure la sua figura rimane centrale per capire il contesto culturale di quegli anni. Se infatti, grazie al rapporto personale con Mussolini, da direttore dal 1938 al 1943 della «Difesa della razza» Interlandi fu portavoce del fascismo più intransigente e fanatico, allo stesso tempo sulle colonne del «Tevere» e «Quadrivio» diede spazio alle migliori firme dell'epoca, da Vincenzo Cardarelli a Mario Soldati, da Luigi Pirandello a Corrado Alvaro, mostrando un fiuto giornalistico e una raffinatezza editoriale eccezionali. Nella sua vicenda Mughini si imbatté quasi per caso. «Perché non lo scrive lei il libro su mio padre che Sciascia non potrà mai scrivere?», fu la richiesta che, all'indomani della morte dello scrittore siciliano, Mughini si sentì rivolgere dal figlio di Interlandi, la cui figura avrebbe dovuto essere al centro di un volume concepito come un secondo Affaire Moro. Nacque così "A via della Mercede c'era un razzista", che, sfuggendo alla distinzione tra saggio e romanzo, ricostruisce gli ambienti di una Roma degli anni trenta come una piccola Atlantide sommersa, ricca di fermenti, di battaglie di idee e di esperimenti che appartengono a pieno diritto alla cultura europea dell'epoca, e riesce allo stesso tempo a rivelare l'origine profonda di alcuni moti che scuotono ancora oggi l'Italia. |
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Velazquez e il ritratto barocco - Tomaso Montanari
COLL C 12/979
All'inizio del Seicento, la rivoluzione di Caravaggio abbatte la separazione e la gerarchia dei generi, ma non è in Italia che essa produce i suoi massimi risultati: è con Velázquez e con Rembrant che la verità della pittura attinge vette insuperabili.Diego Velázquez, il pittore di corte di Filippo IV a Madrid, fu un artista dalla straordinaria sensibilità meta-artistica, in grado cioè di riflettere sulla propria attività, di "parlare" della propria arte attraverso le sue stesse opere, di violare le regole dall'interno, destrutturare sperimentalmente il segno pittorico con una libertà impensabile per la sua epoca, e che sarà compresa fino in fondo solo dopo la rivoluzione impressionista. Per Montanari è come se il nome di Velázquez potesse battezzare un modo di sentire il genere del ritratto, cioè un modo di sentire l'individualità degli esseri umani e di imprigionarla in grumi di colore: una linea nel ritratto europeo. Nella seconda parte del volume, venti quadri dell'artista (presentati in ordine cronologico) sono accostati ad altrettante opere d'arte di autori anche relativamente lontani da Velázquez stesso. Ne risultano venti dittici particolarmente suggestivi per la possibilità di evidenziare analogie, assonanze o concomitanze stilistiche. |
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Sindacalismo in camicia nera - Francesco Altamura
AP C 522/52
La ricerca ricostruisce, dalla periferia, la vicenda istituzionale dei sindacati fascisti dell'agricoltura, ne restituisce l'organizzazione sul territorio, il «modo concreto di essere e di operare» di quadri locali e gruppi dirigenti. La dimensione interregionale del caso di studio, riguardante Puglia e Lucania, ha reso possibile uno sguardo ravvicinato da cui emergono i modelli generali di funzionamento dei sindacati in provincia. L'impulso è stato ad approfondire il «grado di coinvolgimento degli organizzati», ponendo mano a «una storia sociale di queste istituzioni» nella prospettiva di ripercorrere le vie lungo cui «la modernizzazione autoritaria» fu «capace di penetrare sin nei recessi della provincia rurale italiana». |
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Dalle Dolomiti alle Murge, profughi trentini della Grande Guerra - Francesco Altamura
AP C 521/6
L’ordine di sgombero da Primiero e Vanoi giunse, sotto l’incedere della Strafexpedition, il 26 maggio 1916. Il 3 giugno, al passaggio da Bari di un convoglio ferroviario di circa duecento tra anziani, donne e bambini, in quella stazione “fu raccolta una sommetta destinata a comprare ciliegie per i bambini dei profughi”. Oltre 1600, complessivamente, giunsero in Puglia. La permanenza fu di poche settimane, ma alcuni in Trentino non fecero più ritorno. Clima torrido, mancanza d’acqua, focolai epidemici furono causa di morte, resero oltremodo dolorosa un’esperienza di distacco solo in parte lenita da episodi di fraternizzazione con le popolazioni locali. Per ripercorrere un secolo dopo quelle vicende, si è reso necessario un esteso vaglio di corrispondenze epistolari e atti amministrativi, fonti militari e materiali a stampa, passati in rassegna tra Roma, la Puglia e il Trentino, in una ricerca per Archivi di Stato, fondazioni di studi storici, archivi comunali e diocesani. Un ciclo d’interviste in Primiero e Vanoi con discendenti dei profughi giunti in Puglia in quel 1916, ha infine disvelato la preservazione di memorie di comunità che nelle famiglie hanno avuto, per più generazioni, il luogo di trasmissione di ricordi, aneddoti, foto, carteggi restituiti ora attraverso un’ordinaria teoria di vicende quotidiane, minute, neglette, quelle di “un popolo scomparso, reso invisibile dalle ragioni della grande storia”. |
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Lepanto - Alessandro Barbero
MAG C 8364
"Non appena in Occidente si sparse la voce della prossima uscita della flotta turca, papa Pio V decise che quella era l'occasione buona per realizzare un progetto che sognava da tempo: l'unione delle potenze cristiane per affrontare gli infedeli in mare con forze schiaccianti, e mettere fine una volta per tutte alla minaccia che gravava sulla Cristianità. Quando divenne sempre più evidente che la tempesta era destinata a scaricarsi su Cipro, il vecchio inquisitore divenuto pontefice, persecutore accanito di ebrei ed eretici, volle affrettare i tempi." È la primavera del 1570. Un anno e mezzo dopo, il 7 ottobre 1571, l'Europa cristiana infligge ai turchi una sconfitta catastrofica. Ma la vera vittoria cattolica non si celebra sul campo di battaglia né si misura in terre conquistate. L'importanza di Lepanto è nel suo enorme impatto emotivo quando, in un profluvio di instant books, relazioni, memorie, orazioni, poesie e incisioni, la sua fama travolge ogni angolo d'Europa. Questo libro non è l'ennesima storia di quella giornata. È un arazzo dell'anno e mezzo che la precedette. La sua trama è fatta degli umori, gli intrecci diplomatici, le canzoni cantate dagli eserciti, i pregiudizi che alimentavano entrambi i fronti, la tecnologia della guerra, di cosa pensavano i turchi dei cristiani e viceversa. |
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Puglia e Grande Guerra - Francesco Altamura
AP C 521/5
Il volume costituisce l’esito editoriale della giornata di studi “Puglia e Grande Guerra: tra dimensione adriatica e fronte interno, fonti e ricerche”, tenutasi a Bari il 15 maggio 2015. L’intento esplicito è stato di far convogliare, in un momento unitario di presentazione, ricerche affini in corso, sollecitate tutte dalla ricorrenza del Centenario della Grande Guerra. L’approfondimento di temi resosi possibile grazie alla riflessione congiunta in tale sede avviata, costituisce la premessa del progetto “Puglia 14-18” che, selezionato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, vede attualmente impegnati, col coordinamento della Fondazione Gramsci di Puglia, giovani studiosi, dipartimenti universitari, istituti di ricerca e di conservazione, al lavoro su fonti documentarie e itinerari di studio che, in questo volume, trovano una prima definizione come punto di partenza per il prosieguo di ricerche mirate a ricostruire il ruolo della Puglia nel conflitto, l’insieme di trasformazioni da cui questa – per la stessa centralità del mar Adriatico nello scacchiere bellico – dovette essere investita, vedendo mutate nel profondo società e istituzioni, messe duramente alla prova dai mortiferi ingranaggi della modernità novecentesca. |
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